Astronomia e Spazio

QUESTO DICIOTTENNE VINCE 250.000 DOLLARI DOPO AVER TROVATO 1,5 MILIONI DI OGGETTI SPAZIALI

Matteo Paz, uno studente diciottenne statunitense, è stato da poco premiato con l'ingente somma di 250.000 dollari dopo aver setacciato l'enorme archivio di dati della missione Neowise della NASA, scovando oltre 1,5 milioni di oggetti celesti.
Quando era ancora al liceo, Paz si era iscritto alla Planet Finder Academy nel 2022, cominciando a collaborare con gli astronomi della Caltech University con lo scopo d'individuare nuovi pianeti e oggetti extrasolari sconosciuti.

Sotto la guida di Davy Kirkpatrick, Paz ha così cominciato ad analizzare i dati della missione Neowise - 200 miliardi di righe d'informazione - conclusasi l'anno scorso dopo 14 anni di onorata carriera.

Per velocizzare tuttavia il processo di studio, Paz ha iniziato a sviluppare un'intelligenza artificiale in grado di automatizzare l'identificazione delle anomalie, potenziali segnali della presenza di stelle, nebulose, supernove e quasar tramite l'identificazione delle loro firme infrarosse.

La sua scelta ha permesso così d'individuare in un breve tempo un numero enorme di nuovi oggetti celesti, mai identificati, attirando l'attenzione degli altri astronomi e del suo stesso mentore, Kirkpatrick, che in un primo momento aveva consigliato al giovane di focalizzarsi solo su una piccola porzione del cielo.

"In due anni siamo riusciti a ottenere le informazioni di 1,5 milioni di oggetti celesti, un record che nessuno di noi alla Caltech si aspettava" ha dichiarato l'astronomo, scienziato senior dell'IPAC.

Dopo questo successo, Paz è stato assunto dalla Caltech ed è a sua volta divenuto mentore per altri studenti, più giovani di lui di qualche anno. Per premiare invece i suoi risultati scientifici, la Planet Finder Academy ha deciso anche di conferirgli il premio in denaro di 250.000 dollari, così da garantirgli l'accesso ai corsi universitari più esclusivi.

FONTE: DAILY GALAXY

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SCOPRI IL MOTIVO SORPRENDENTE PER CUI LA NASA HA INVIATO TUTE SPAZIALI SU MARTE!


Mentre tutti parlano della Luna e della tecnologia che abbiamo portato lì su, la NASA gioca d'anticipo su Marte. Non lo fa con astronavi e basi segrete ma con pezzi di tute spaziali già atterrate sul Pianeta Rosso. Questi frammenti stanno affrontando le peggiori condizioni immaginabili per capire se potranno proteggerci in futuro.
Quando nel 2021 il rover Perseverance atterrò su Marte, portava con sé cinque campioni di materiali destinati alle future tute spaziali. Questi frammenti, ciascuno grande appena 20 millimetri quadrati, sono parte della calibrazione per lo strumento SHERLOC montato sul braccio del rover.

Il motivo è semplice: le condizioni impietose dell'ambiente marziano.

Su Marte, privo di campo magnetico e con un'atmosfera rarefatta, i raggi cosmici colpiscono la superficie senza filtri. Le temperature oscillano drasticamente, mentre la polvere marziana, ricca di minerali ossidanti, mette a dura prova qualsiasi materiale. Nessuna simulazione terrestre può riprodurre con precisione assoluta queste condizioni estreme.

I materiali selezionati per il test rappresentano componenti fondamentali delle tute spaziali: un frammento di policarbonato per i caschi, Vectran per i guanti, due campioni di Teflon anti-polvere e Ortho-Fabric, già utilizzato nelle attuali tute.

I dati preliminari hanno rivelato un fenomeno interessante: circa metà delle alterazioni si è verificata nei primi 200 giorni, prima di raggiungere una fase di relativa stabilità. Il Vectran, destinato ai guanti, ha mostrato i primi segni di deterioramento.

Cosa significa questo per gli astronauti che abiteranno Marte a breve?

Al Johnson Space Center di Houston, scienziati ricreano artificialmente le condizioni marziane per confrontare i risultati con quelli ottenuti dai campioni realmente esposti su Marte. Le camere di simulazione riproducono l'atmosfera di anidride carbonica, la pressione e la radiazione ultravioletta del pianeta rosso, ma non possono prevedere tutti gli effetti a lungo termine.

La NASA sottolinea un aspetto fondamentale: il delicato equilibrio tra resistenza e flessibilità. A temperature che possono scendere fino a -120°C, un tessuto rigido rischia di creparsi, mentre uno troppo elastico potrebbe non offrire protezione sufficiente.

Fonte: AUTOEVOLUTION

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STRANI FILAMENTI SONO STATI OSSERVATI NEL CUORE DELLA NOSTRA GALASSIA

Nel cuore della Via Lattea, attorno al gigantesco buco nero Sagittarius A*, si nasconde qualcosa che ha lasciato gli astronomi senza parole. Un team internazionale di ricercatori ha osservato, grazie al radiotelescopio ALMA nel deserto cileno, una serie di sottili filamenti di gas che si muovono come se fossero tornado spaziali.
Queste strutture, descritte come “strane” e “aliene” dagli scienziati, sembrano sfuggire a qualsiasi modello noto di formazione stellare.

La zona studiata è la Central Molecular Zone, un’area della galassia densa di gas e polveri dove la materia viene continuamente distrutta e rigenerata. Ma come funzioni esattamente questo ciclo rimane un mistero. Ed è qui che entra in gioco la scoperta: i filamenti rilevati reagiscono a onde d’urto e sembrano emergere da interazioni violente tra nubi molecolari e shock cosmici.

Non sono associati a stelle né a polveri visibili, ma portano con sé tracce di molecole complesse come il metanolo e il silicio monossido, liberate nel processo.

Secondo i ricercatori, queste strutture sottili si formano su scala parsec e poi scompaiono rapidamente, ridando inizio al ciclo con il congelamento delle molecole. Questi sono differenti dai filamenti densi osservati nelle nubi molecolari vicine, potenzialmente legato ai movimenti turbolenti del centro galattico.

“È come se stessimo osservando il respiro della nostra galassia” ha commentato il team.

FONTE: FUTURISM

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IL MISTERO DI URANO SVELATO: ECCO QUANTO DURA UN GIORNO SUL PIANETA!


Urano ha finalmente rivelato un dettaglio cruciale: la durata esatta del suo giorno. Grazie a una nuova tecnica di misurazione basata sull’osservazione delle aurore, un team di scienziati ha scoperto che un giorno su Urano dura 17 ore, 14 minuti e 52 secondi — ben 28 secondi in più rispetto alla stima storica fornita dalla sonda Voyager 2 nel 1986.
A rendere possibile questa scoperta è stata la lunga e paziente campagna di osservazioni condotta dal telescopio spaziale Hubble, che da oltre un decennio monitora il pianeta e le sue misteriose aurore. A differenza di quelle terrestri o gioviane, le aurore uraniane non si formano ai poli: colpa dell’insolito allineamento tra l’asse magnetico e l’asse di rotazione del pianeta.

Proprio questa stranezza ha reso difficile per decenni stabilire una misura precisa del suo periodo di rotazione.

Ma il nuovo sistema di coordinate sviluppato dal team, guidato da Laurent Lamy dell’Osservatorio di Parigi, ha permesso non solo di migliorare la precisione di calcolo di oltre mille volte, ma anche di creare una mappa aggiornata utile per future missioni. E proprio le missioni sono il prossimo passo: Urano è stato visitato una sola volta, in modo fugace, dalla Voyager 2, che recentemente ha perso il contatto con la Terra.

Gli scienziati sperano ora in una nuova sonda che resti in orbita, per approfondire i segreti del pianeta e dei suoi anelli. A proposito: sapete che Urano è molto più caldo di quanto pensiamo?

Fonte: IFLSCIENCE

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QUAL È IL PIANETA PIÙ LUMINOSO VISTO DAL PIANETA MARTE?

Secondo Elon Musk e diversi altri magnati impegnati nel finanziare nuovi progetti di esplorazione spaziale, l'uomo è destinato a colonizzare Marte, anche se questo processo potrebbe durare anni e costare più di quanto abbiamo finora speso per tutte le altre missioni spaziali messe insieme.
Una volta giunti sul pianeta rosso, tuttavia, qualche volta ci capiterà di rivolgere il nostro sguardo nel cielo, cercando di guardare le stelle o di ristabilire il contatto visivo con il pallino di luce che finora abbiamo considerato casa: la Terra.

Considerando però tutti gli altri pianeti del sistema solare, potrebbe sorgerci un dubbio: qual è il pianeta più luminoso che si riesce a vedere dalla superficie rossastra di Marte?

Per rispondere a questa domanda, all'inizio dobbiamo comprendere cosa permette a un pianeta di brillare nello spazio e qualche volta di risultare più luminoso delle stesse stelle, nel cielo notturno.

Il primo fattore a determinare ciò è la relativa vicinanza fra i pianeti stessi e la propria stella. Facendo degli esempi pratici, dalla Terra il pianeta Venere risulta molto più luminoso rispetto a Giove e Saturno, sebbene questi siano notevolmente più grandi e massicci. La ragione è semplice. Venere è al contempo sia più vicina al Sole che più vicina alla Terra rispetto ai due giganti gassosi. Non finisce tuttavia qui.

Anche la composizione stessa dei pianeti ha un effetto diretto sulla luminosità e studiando le leggi di Keplero ci si può rendere conto che il loro movimento lungo l'orbita rende talvolta gli stessi pianeti più o meno luminosi a seconda di quale posizione occupano nei differenti momenti dell'anno. Ciò porta a una variazione di luminosità all'interno dell'anno che può permettere ad altri pianeti - generalmente più lontani - di risultare più luminosi.

Per via di questi fenomeni, se osservassimo il cielo dalla superficie di Marte, in alcuni momenti dell'anno marziano il pianeta più luminoso visibile potrebbe anche essere la Terra, ma per la maggior parte del tempo dovrebbe essere Venere - grande poco meno del nostro pianeta, ma dall'atmosfera più riflettente - il pianeta più luminoso in assoluto del sistema.

FONTE: IFLSCIENCE.COM

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C'È TROPPA SPAZZATURA NELLO SPAZIO INTORNO ALLA TERRA ED È UN PROBLEMA

La Terra è circondata da una nuvola invisibile ma letale di rottami spaziali, e la situazione sta rapidamente sfuggendo di mano. È quanto emerge dal nuovo Space Environment Report pubblicato dall’Agenzia Spaziale Europea (ESA), un’analisi dettagliata che descrive un quadro preoccupante.
Stiamo lanciando più satelliti di quanti ne rientrino, e molti restano abbandonati, diventando vere e proprie mine vaganti nello spazio.

Al momento sono circa 40.000 gli oggetti tracciati in orbita, ma solo 11.000 sono ancora attivi. Il resto è spazzatura: satelliti dismessi, frammenti di razzi, pezzi esplosi o rotti. Secondo le stime, ci sono 54.000 oggetti più grandi di 10 cm, 1,2 milioni tra 1 e 10 cm, e addirittura 130 milioni di micro-detriti tra 1 mm e 1 cm. E anche se minuscoli, a velocità orbitali possono causare danni devastanti (la Stazione Spaziale ne sa qualcosa).

Il rischio più grande è quello della “sindrome di Kessler”: una reazione a catena in cui le collisioni generano nuovi detriti, aumentando esponenzialmente il rischio di ulteriori impatti. E non servono nuovi lanci per peggiorare la situazione: bastano gli incidenti. Nel solo 2024, si sono verificati 11 episodi di frammentazione non da collisione, che hanno prodotto oltre 2.600 nuovi rottami.

C’è però una luce in fondo all’orbita: aumentano i rientri controllati, con il 90% dei razzi in orbita bassa che seguono le direttive internazionali. Ma non basta. Serve un piano globale per ripulire il cielo sopra le nostre teste.

Fonte: SCIENCEALERT

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TERRAFORMARE MARTE NON È IMPOSSIBILE: NUOVO STUDIO DESCRIVE COME FARE

Molti sperano che in futuro Marte abbia un’atmosfera respirabile, adesso però sembra essere una possibilità remota. A dirlo è un recente studio presentato al 56° Congresso di Scienze Lunari e Planetarie da Leszek Czechowski dell’Accademia Polacca delle Scienze, che ha affrontato il problema con un approccio pragmatico.
Quanta energia e quanta materia servirebbero per trasformare il Pianeta Rosso in una nuova Terra?

Al momento, la pressione atmosferica marziana è così bassa che l’acqua nel corpo umano bollirebbe all’istante. Tuttavia, alcune zone – come la vasta depressione di Hellas Planitia – sono leggermente più promettenti: lì la pressione è circa un centesimo di quella terrestre, ancora insufficiente, ma un buon punto da cui partire.

Il problema è che per creare un’atmosfera accettabile su tutto il pianeta servirebbe un’enorme quantità di gas, e non basta ciò che si può trovare nella fascia principale di asteroidi. Secondo Czechowski, la vera miniera d’oro (anzi, di ghiaccio e azoto) è la lontana cintura di Kuiper, ai confini del Sistema Solare.

L’idea? Far collidere uno di questi enormi corpi ghiacciati contro Marte per liberare energia e materiale atmosferico. Un progetto titanico che richiederebbe un sistema di propulsione indipendente dalla gravità – forse alimentato da un reattore a fusione – per spingere questi oggetti verso il Sole senza disintegrarli. Insomma, il primo passo verso un Marte abitabile potrebbe iniziare con una gigantesca palla di ghiaccio in rotta di collisione.

FONTE: SCIENCEALERT

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